Si spegne William Pope L., pescatore delle assurdità sociali

 

William Pope L. (Newark, New Jersey, 1955 – 2023)

il pescatore delle assurdità sociali, William Pope L., si spegne il 23 dicembre.

Nasceva a Newark nel New Jersey nel 1955 e dagli anni ‘70 ha raccolto e partorito assurdità sociali in giro per le città, nello specifico per la grande mela. Tra opere e performance usa il proprio corpo per le strade dando inizio alla street action, un movimento artistico tradotto in azione di strada. Lui lo chiama Crawl, ovvero strisciare.

The Great White Way, 22 Miles, 9 Years, 1 Street, William Pope L., 2001

Questo articolo ricorda alcune delle sue opere esposte in una retrospettiva al MoMa del 2019.

The Great White Way. Pope indossa una tutina da Superman e tiene uno skateboard per appoggiare la schiena quando è troppo stanco. Striscia dalla statua della libertà fino al Bronx. Strisciare diventa uno dei suoi marchi di fabbrica. Perché? Perché sono gli anni ‘70 e ‘80. Anni in cui New York ha un problema serio con i barboni. Ci sono barboni ovunque. Persone malviste, sdraiate per strada che vivono per strada. Alcuni dei quali sono anche parenti e amici dello stesso Pope. Lui li rappresenta strisciando con una tutina da supereroe.

The Great White Way, 22 Miles, 9 Years, 1 Street, William Pope L., 2001

In Tompkins Square Crawl fa lo stesso, ma vestito da business man. Era il 18 luglio del 1991e  c’era un’afa pazzesca che arrivava fino a 40 gradi. Eppure Pope striscia attorno al quartiere indossando una maglietta bianca e un completo nero, colori scelti non a caso, tenendo in mano un vasetto con un fiore giallo. Il fiore di chi semina qualcosa che può cresce in alto. Dopo un isolato viene fermato da un passante che a sua volta ferma un poliziotto perché indispettito.

‘Lasciatemi fare il mio lavoro’ risponde l’artista e il suo lavoro lo fa per davvero.

Strisciare, vestito con un completo perfetto per l’ufficio. Strisciare, strisciare e strisciare tra un grattacielo e un altro. Steso a terra per rifiutare la verticalità dei palazzi, il non essere all’altezza, il non avere con l’avere.

Tompkins Square Crawl, William Pope L., 1991

Non sono solo crawl le sue opere. Nel 1994 partorisce Cow Commercial, la mucca commerciale. Una mucca di plastica che Pope porta in braccio con se’ tra i marciapiedi di New York come fosse un oracolo, recitando pensieri religiosi e filosofici confinanti con l’assurdo. Ed è proprio la mucca ad essere protagonista. E cosa c’entra la mucca di Pope con la filosofia e la religione? Una mucca pubblicitaria per opporsi alla filosofia e alla religione? Forse.

Cow Commercial aka Black Domestic, William Pope L., 1994, MoMA, New York

L’opera allude alla pubblicità molto di moda e molto discussa negli Stati Uniti d’America negli anni ’90, la pubblicità statunitense per eccellenza: Got Milk. Campagna pubblicitaria che invita i cittadini americani a comprare e a consumare più latte. E gli americani lo fanno. Comprano e consumano più latte, riempiendo scaffali e scaffali di latte di tutti i tipi ovunque.

Pope così prende la sua mucca e la addobba con tre elementi:

  1. Un’etichetta con su scritto sold appiccicata sulla pancia.
  2. Una bottiglia di vino vuota e un’etichetta con su scritto race che le tappa la bocca.
  3. Una bandierina americana infilata nell’ano.

Come fanno questi tre elementi a stare bene insieme su una mucca bianca e nera, produttrice di latte?

Di razza bianca, nera o qualsiasi essa sia, non è questo che importa, quello che importa è che la mucca, madre produttrice e artefice di consumo, è un animale venduto. Venduto perché pronta a ingerire tutto quello che c’è da ingerire. Con una bottiglia vuota etichettata race che le tappa la bocca. Una race un po’ ubriaca che ha ingerito quello che doveva.

E nell’altro orifizio?

Una bandierina americana. Perché chi meglio dell’America sa far ingerire qualcosa? La padrona del consumismo e della riproduzione. Pronta a vendere l’invendibile e a prendere in giro sventolando la sua bandiera.

 

 

Rosachiara Pardini

 

William Pope L., il pescatore delle assurdità sociali, striscia al MoMA di NY.

MoMA. New York. Tra la undicesima e la cinquantatreesima strada, il 21 ottobre 2019, il museo d’arte contemporanea inaugura il suo nuovo riallestimento. La solita struttura e la solita entrata e i soliti cinque piani. Le vecchie e storiche opere ci sono ancora, ma convivono con le new entry che sono tantissime e nuovissime.

William Pope L. (Newark, New Jersey, 1955)

Tra queste, al terzo piano, nella sala The Edward Steichen Galleries c’è lui: il pescatore delle assurdità sociali. William Pope L. Non ci sarà per sempre, perché ospite fino a febbraio. Una mostra interamente dedicata all’artista, intitolata: member: Pope.L, 1978-2001.

Chi lo conosce? In America in tanti e altrove in pochi.

Pope L. nasce a Newark nel New Jersey nel 1955 e dagli anni ‘70 raccoglie e tira fuori assurdità sociali in giro per la città. La retrospettiva si concentra sulle performance tra gli anni ’70 e i primi 2000: performance dove Pope usa il suo corpo per le strade della Mela Grande. È così che nel 1978 da’ inizio alle street action che lui chiama Crawl: strisciare.

The Great White Way, 22 Miles, 9 Years, 1 Street, William Pope L., 2001, MoMA, New York

In The Great White Way vestito con indosso una tutina da Superman e uno skateboard per appoggiare la schiena quando è troppo stanco, striscia dalla statua della libertà fino al Bronx. Strisciare diventa uno dei suoi marchi: strisciare per le strade. Perché? Sono gli anni ‘70 e ‘80. Anni in cui New York ha un problema serio con i barboni. Ci sono barboni ovunque. Meravigliose persone sdraiate per strada e che vivono per strada. Alcuni di loro sono anche parenti e amici dello stesso Pope. Ma lui non veste mai come loro: o da Superman o da business man.

The Great White Way, 22 Miles, 9 Years, 1 Street, William Pope L., 2001, MoMA, New York

Il 18 luglio 1991 c’è un’afa che arriva fino a 40 gradi. Eppure Pope striscia attorno Tompkins Square indossando una maglietta bianca e un completo nero, bianco nero non per caso, tenendo in mano un vasetto con un fiore giallo. Dopo un isolato viene fermato da un passante che a sua volta ferma un poliziotto perché indispettito.

‘Lasciatemi fare il mio lavoro’ risponde l’artista e il suo lavoro lo fa per davvero.

Strisciare, vestito con un completo perfetto per l’ufficio. Strisciare, strisciare e strisciare tra un grattacielo e un altro. Stesi a terra a rifiutare la verticalità dei palazzi alti, a metaforizzare il non avere con l’avere. l’orizzontale e il verticale. Il basso e l’alto.

Tompkins Square Crawl, William Pope L., 1991, MoMA, New York

C’è un fiore. In tutto ciò Pope tiene in mano un fiore. Un fiore giallo. Il fiore di chi semina qualcosa che può crescere bene e tanto, luminoso e giallo.

Ma non sono solo crawl le sue. Nel 1994 partorisce Cow Commercial, la mucca commerciale. Una mucca di plastica che Pope porta in braccio con se’ tra i marciapiedi di New York come fosse un oracolo, recitando pensieri religiosi e filosofici confinanti con l’assurdo. Ed è proprio la mucca ad essere protagonista. E cosa c’entra la mucca di Pope con la filosofia e la religione? Una mucca pubblicitaria per opporsi alla filosofia e alla religione? Forse.

Cow Commercial aka Black Domestic, William Pope L., 1994, MoMA, New York

L’opera allude alla pubblicità molto di moda e molto discussa negli Stati Uniti d’America negli anni ’90. La pubblicità statunitense per eccellenza. Got Milk. Campagna pubblicitaria che invita i cittadini americani a comprare e a consumare più latte. E loro lo fanno. Comprano e consumano più latte, riempiendo scaffali e scaffali di latte di tutti i tipi ovunque.

Pope così prende la sua mucca e la addobba con tre elementi:

  1. Un’etichetta con su scritto sold appiccicata sulla pancia.
  2. Una bottiglia di vino vuota e un’etichetta con su scritto race che le tappa la bocca.
  3. E una bandierina americana infilata nell’ano.

Come fanno questi tre elementi a stare insieme su una mucca bianca e nera, produttrice di latte?

Di razza bianca, nera o qualsiasi essa sia, non è questo che importa, quello che importa è che la mucca, madre produttrice e artefice di consumo, è un animale venduto. Venduto perché pronta a ingerire tutto quello che c’è da ingerire. Con una bottiglia vuota etichettata race che le tappa la bocca. Una race un po’ ubriaca che ha ingerito quello che doveva.

E nell’altro orifizio?

Una bandierina americana. Perché chi meglio dell’America sa farti ingerire qualcosa? La padrona del consumismo e della riproduzione. Pronta a vendere l’invendibile. E a prendere tutti quanti per il sedere sventolando la sua bandiera.

 

 

Rosachiara Pardini

 

https://www.tgcom24.mediaset.it/speciale-vernice-week/

 

 

Guerrilla Girls. Le artiste gorilla.

Guerrilla Girls, New York City

Ragazze gorilla, ragazze guerrilla. Guerrilla Girls. Artiste femministe attiviste. La parola guerrilla si confonde con gorilla perché portano delle enormi maschere a forma di scimmia e non se le tolgono mai. Nemmeno per le interviste.

È così che stabiliscono la loro immagine: durante un’intervista. Si presentano ‘siamo le Guerrilla’ e un giornalista inglese sbaglia a fare lo spelling. Scrive Gorilla. Loro non si offendono perché dei faccioni da scimmioni cattivi e oscuri si adattano bene ai loro intenti.

Fanno arte. Ma non è pittura e non è scrittura e non è architettura o progettistica. Sembra più pubblicità. Arte fatta di grandi manifesti e volantini e cartelloni che dicono cose e pensano cose e fanno pensare a cose. A cosa… a proteggere e a spingere fuori la propria identità e il proprio genere, il proprio colore della pelle. L’identità che mascherano dietro a una faccia da scimmia perché tutti devono essere uguali a tutti, non la mascherano al mondo intero nella loro produzione artistica quando cominciano negli anni ’80 a tappezzare New York di volantini e a scrivere che tutti devono essere uguali a tutti, anche nell’arte.

Si riuniscono come fossero un ghetto al femminile a partire dall’85. Il MoMA l’anno prima allestisce una mostra: an international survey of recent painting and sculpture (1984). MoMa. New York. Arte contemporanea. Arte nuova nuovissima nella città nuova nuovissima dove le cose nuove nuovissime arrivano per prime primissime, ma non del tutto. La mostra ospita 169 artisti in totale. Un totale squilibrato perché tra questi compaiono solo 13 donne. 156 contro 13. È da qui che le scimmie guerriere si riuniscono contro musei e gallerie di New York per poi espandersi ovunque per il non spazio o poco spazio dato all’interno di essi. Studiano statistiche e il loro studio accurato le porta a constatare che la donna nell’arte viene messa da parte un po’ troppo rispetto all’uomo. Non è una constatazione sbalorditiva né originale né innovativa, eppure innovativamente iniziano a renderlo noto cospargendo la città di pensieri polemici, proteste e parole, riproduzioni di quadri famosi rielaborati e frasi su frasi.

Guerrilla Girls, we seel white bread, 1987

Come l’odalisca di Ingres. La longilinea e liscia e bella odalisca di Ingres.

Jean-Auguste-Dominique Ingres, La Grande Odalisca, 1814, Museo del Louvre

Cosa c’entra con un gorilla pelosissimo?

Guerrilla Girls Talk Back, 1989, Tate Modern

C’entra quando le guerrilla la mettono su un manifesto tutto giallo e le piazzano sulla faccia il mascherone di uno scimmione che domanda:

Do women have to be naked to get into the Met. Museum?

Potrebbe essere. Una donna nuda e ben in posa è sempre bella. Vestita, svestita, castana, bionda, rozza, grossa, lunga. Va comunque più o meno bene. Ma una donna che arriva con un quadro sotto al braccio e dice ‘questo l’ho fatto io’ forse un po’ meno.

Do women have to be naked to get into the Met. Museum?

Le Guerrilla tirano fuori una percentuale e la scrivono sotto l’odalisca. L’85 per cento dei quadri esposti al Met ha come soggetto una donna nuda, ma solo il 5 per cento dei quadri esposti è stato dipinto da una donna. E perché? davvero solo perché le donne bamboline sono così tanto carine come manichine che non possono fare altro? Perché la virilità maschile ha divorato la fragilità femminile fin da sempre? La cruda legge del più forte contro il più debole? Forse nei tempi antichi è stato fatto uno studio accurato e ignaro in cui risultava che il cervello maschile fosse più brillante di quello femminile. O forse non esiste nessuno studio e nessun motivo ben preciso e il tutto fa pensare se sia stata la donna a tarparsi le ali da sola o l’uomo ad approfittarsene. L’uomo ad alimentare sempre di più il maschilismo e ad approfittarsene. E adesso maschilismo e femminismo finiscono per divorarsi l’un l’altro. Un mostro che crea un altro mostro?

Guerrilla Girls, I am not a Feminist, 2009

Chissà se già fin dall’inizio dei tempi era così. In fondo all’inizio, inizio del mondo, c’eravamo già entrambi. Un uomo e una donna. Una scimmia e un’altra scimmia.

 

 

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