il pescatore delle assurdità sociali, William Pope L., si spegne il 23 dicembre.
Nasceva a Newark nel New Jersey nel 1955 e dagli anni ‘70 ha raccolto e partorito assurdità sociali in giro per le città, nello specifico per la grande mela. Tra opere e performance usa il proprio corpo per le strade dando inizio alla street action, un movimento artistico tradotto in azione di strada. Lui lo chiama Crawl, ovvero strisciare.
Questo articolo ricorda alcune delle sue opere esposte in una retrospettiva al MoMa del 2019.
The Great White Way. Pope indossa una tutina da Superman e tiene uno skateboard per appoggiare la schiena quando è troppo stanco. Striscia dalla statua della libertà fino al Bronx. Strisciare diventa uno dei suoi marchi di fabbrica. Perché? Perché sono gli anni ‘70 e ‘80. Anni in cui New York ha un problema serio con i barboni. Ci sono barboni ovunque. Persone malviste, sdraiate per strada che vivono per strada. Alcuni dei quali sono anche parenti e amici dello stesso Pope. Lui li rappresenta strisciando con una tutina da supereroe.
In Tompkins Square Crawl fa lo stesso, ma vestito da business man. Era il 18 luglio del 1991e c’era un’afa pazzesca che arrivava fino a 40 gradi. Eppure Pope striscia attorno al quartiere indossando una maglietta bianca e un completo nero, colori scelti non a caso, tenendo in mano un vasetto con un fiore giallo. Il fiore di chi semina qualcosa che può cresce in alto. Dopo un isolato viene fermato da un passante che a sua volta ferma un poliziotto perché indispettito.
‘Lasciatemi fare il mio lavoro’ risponde l’artista e il suo lavoro lo fa per davvero.
Strisciare, vestito con un completo perfetto per l’ufficio. Strisciare, strisciare e strisciare tra un grattacielo e un altro. Steso a terra per rifiutare la verticalità dei palazzi, il non essere all’altezza, il non avere con l’avere.
Non sono solo crawl le sue opere. Nel 1994 partorisce Cow Commercial, la mucca commerciale. Una mucca di plastica che Pope porta in braccio con se’ tra i marciapiedi di New York come fosse un oracolo, recitando pensieri religiosi e filosofici confinanti con l’assurdo. Ed è proprio la mucca ad essere protagonista. E cosa c’entra la mucca di Pope con la filosofia e la religione? Una mucca pubblicitaria per opporsi alla filosofia e alla religione? Forse.
L’opera allude alla pubblicità molto di moda e molto discussa negli Stati Uniti d’America negli anni ’90, la pubblicità statunitense per eccellenza: Got Milk. Campagna pubblicitaria che invita i cittadini americani a comprare e a consumare più latte. E gli americani lo fanno. Comprano e consumano più latte, riempiendo scaffali e scaffali di latte di tutti i tipi ovunque.
Pope così prende la sua mucca e la addobba con tre elementi:
- Un’etichetta con su scritto sold appiccicata sulla pancia.
- Una bottiglia di vino vuota e un’etichetta con su scritto race che le tappa la bocca.
- Una bandierina americana infilata nell’ano.
Come fanno questi tre elementi a stare bene insieme su una mucca bianca e nera, produttrice di latte?
Di razza bianca, nera o qualsiasi essa sia, non è questo che importa, quello che importa è che la mucca, madre produttrice e artefice di consumo, è un animale venduto. Venduto perché pronta a ingerire tutto quello che c’è da ingerire. Con una bottiglia vuota etichettata race che le tappa la bocca. Una race un po’ ubriaca che ha ingerito quello che doveva.
E nell’altro orifizio?
Una bandierina americana. Perché chi meglio dell’America sa far ingerire qualcosa? La padrona del consumismo e della riproduzione. Pronta a vendere l’invendibile e a prendere in giro sventolando la sua bandiera.
Rosachiara Pardini