Intervista immaginaria al Nano Morgante.

Come ti chiami?

Morgante

Segni particolari?

Sono grassotto perché non ho abbastanza lunghezza per disporre la ciccia in tutto il corpo. Sono alto molto poco. Sono molto basso, sono nano. Ma non sono un nano, sono il Nano. Il Nano Morgante.

“Il”?

Il Nano Morgante. Quello che a corte tutti vogliono e tutti aspettano. Quello che senza di me la festa non c’è.

E perché ti chiamano Morgante?

Perché Morgante è il gigante nel poema di Luigi Pulci. È una presa in giro e così li lascio fare e mi ci faccio chiamare. Perché sono un giullare e il mio mestiere è far divertire gli altri e il mio corpo sembra facilitarne il divertimento. Ma a far divertire mi diverto anche io, molto più degli altri.

Come ti chiami veramente?

Braccio di Bartolo.

Non sembri toscano dall’accento…

Sono bolognese. Originario di Castel del Rio.
Poi sono venuto a Firenze e a corte e insieme a me ho trovato altri quattro nani. Cinque nani a corte. Cosimo I e i cinque nani. Ma nessuno era come me. Io ero il re dei nani, tutti mi volevano. Ero il preferito del Duca.
Tutti m’imploravano per intrattenere e intrattenere, ancora di più e sempre di più. Il mio duca non mi lasciava mai. Mi ha riempito di vizi e di ritratti. Tutti mi hanno ritratto, spesso nudo.

Anche Giorgio Vasari parla di te. Lo sapevi? Sai leggere?

Non so leggere, ma sono un cacciatore pazzesco. E modello.
Cosa dice Vasari? L’ho conosciuto perché è venuto a corte.
Ha la puzza sotto al naso, il mio duca lo invitò da noi e lui rifiutò l’invito. Fu così che i rapporti si interruppero.

Dice “…il Duca, il quale ha fatto fare al medesimo di marmo la statua di Morgante nano, ignuda, la quale è tanto bella e così simile al vero riuscita, che forse non è mai stato veduto altro mostro così ben fatto, ne’ condotto con tanta diligenza simile al naturale…”

L’avevo detto che ha la puzza sotto al naso! Io non sono un mostro. Sono poco alto e molto basso. Poco e molto. Non vuol dire essere un mostro. Se fossi davvero un mostro nessuno avrebbe piacere a ritrarmi con le natiche all’aria. E hai visto invece per quanti nudi mi è toccato posare?
Hai visto i giardini di Boboli? Hai visto la fontana del Bacchino lì dentro? Come sono bello tutto bianco e tutto in marmo in sella ad una tartaruga gigante. Leggiadro e con lo sguardo intelligente. Non sono un buffone. Faccio il buffone, ma non sono un buffone.
Sono anche agli Uffizi adesso.

La fontana del Bacchino, 1560, Valerio Cioli, Giardino di Boboli, Firenze

Si è vero…cioè non tu, Agnolo Bronzino è agli Uffizi.

Io! Io sono agli Uffizi! Non c’è mica la faccia del Bronzino lì dentro, sono io a fare la cornice! Grazie al mio duca innanzitutto e poi grazie al Bronzino. Ma sono io a mettere faccia e chiappe.

Faccia e chiappe e farfalle?

Esatto. Il Bronzino pensò fosse meglio dipingere una farfalla svolazzante sul mio fallo e il pubblico non era pronto. Non è come oggi. Anche se ancora oggi quando vado in giro la gente si volta a guardarmi. Forse rispecchio ancora i loro canoni di bellezza. Comunque sia non era come oggi. Una Venere nuda era un conto, ma un nano nudo un po’ meno. Forse il maschio nudo in generale un po’ meno, un po’ zero.

Nano Morgante, 1552, Agnolo Bronzino, Galleria degli Uffizi, Firenze

Eppure il Bronzino ti ha ritratto persino da entrambi i lati. Fronte e retro.

Sì. Dicono lo abbia fatto per dimostrare quanto fosse bravo in pittura. Quanto la pittura fosse migliore della scultura, perché attraverso la pittura puoi raccontare scene diverse e tutte queste cose qua, mentre nella scultura questo non lo puoi fare. Ma la realtà è che mi ha dipinto nudo e fronte retro perché sono molto troppo bello, sia davanti che di dietro.

Infatti nel quadro sono dipinte due scene diverse, giusto?

Giusto. Nella prima sto cacciando e nella seconda ho finito la caccia. Sono un cacciatore. Un buffone, giullare, quadro-modello e cacciatore. A corte facevo tutto quello che mi veniva richiesto. Qualunque cosa Cosimo volesse che io fossi la diventavo. Voleva che fossi un bravo cacciatore e sono diventato un bravo cacciatore. Così sul lato frontale del dipinto tengo in mano la ghiandaia e sul retro tengo in mano la ghiandaia stecchita.

Sei molto sicuro di te. È proprio vero che non ti vergogni di niente.

Di cosa dovrei vergognarmi? Non vergognarmi di niente è stata la mia fortuna. Nell’Ottocento nel quadro del Bronzino mi hanno trasformato perfino nel dio Bacco. Se fossi stato un insicuro nessuno lo avrebbe fatto. Hanno messo un perizoma di foglie e uva a soffocare la mia farfalla e non ho più uccelli svolazzanti intorno, ma del vino e una ghirlanda trionfante in testa.

Adesso però sei tornato alle origini nel quadro, giusto?

Si, pochi anni fa mi hanno restaurato. Forse progredendo si sono resi conto che un nano nudo non avrebbe scandalizzato nessuno.

Quale dei due preferisci? Essere bacco o un cacciatore?

Vanno bene entrambi. Mi rappresentano entrambi. Non mi sono mai vergognato, non mi vergogno di niente, ero il preferito proprio per questo. L’imbarazzo, la timidezza, la debolezza e l’insicurezza non sono mai ammesse a corte. Impudente e arguto.
Sono molto basso, sarebbe ancora più facile schiacciarmi se non fossi impudente e arguto.

 

 

 

 

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Intervista immaginaria: Goulue, la golosona di Toulouse Lautrec.

Intervista immaginaria, basata su una storia vera. La Goulue, la golosona, ballerina del Moulin Rouge e di Toulouse Lautrec…

Chi è la donna che alza la gambetta fino al viso, con due gote a palloncino e una crocca in testa pel di carota?

Louise Weber, detta La Goulue, golosona e ballerina del Moulin Rouge

Sono io, Goulue la golosona! Golosa di cibo soprattutto e di sesso, anche se in realtà il mio vero nome è Louise Weber, sono nata a Clichy nel 1866.

Riconosci questo manifesto?

Moulin Rouge. La Goulue, litografia, 1891, Henry de Toulouse Lautrec

Certo! Sono io! Il mio amico Toulouse mi ha ritratta in occasione del mio debutto al Moulin Rouge nel 1891. Mi ha ritratta lì in mezzo al palco, con la gamba alzata tipicamente mia, viso concentrato e folla che mi scruta senza togliermi gli occhi di dosso. In primo piano c’è il mio partner Jacques Renaudin, che in arte si fa chiamare Valentin le Désossé perché quando balla sembra essere disossato per davvero. Indossa sempre redingote e cilindro, proprio come nel manifesto.

In questo manifesto infatti siete qui che ballate insieme. È il ’95 giusto?

La Goulou e Valentin-Le-Désossé, 1895, Henry de Toulouse-Lautrec

Giusto. Io con il sedere in fuori e le gambe spaparanzate e Valentin anche! Che bravi che siamo e che bravo che è quel nanerottolo di Toulouse! Un po’ rompi palle quando viene tutte le sere a trovarmi, ma scherzo, siamo amici, almeno da parte mia … ognuno di noi fa la sua parte: io ballo e lui disegna. Viene sempre a trovarmi, a scolarsi cinquanta bicchierini di assenzio, come il negroni ora per voi, e si mette lì a fare la sua arte. È stato lui a convincermi a lasciare il Moulin de la Galette per il Moulin Rouge.

Ha fatto bene a convincerti?

Direi di sì! Ero la star di quel posto! Quello che voi andando a Parigi fotografate a tutto spiano senza poterci nemmeno entrare per davvero. Un tempo non si fotografava un fico secco. Si entrava e basta, per vedere me! La regina del can-can! La madre creatrice del can-can! E altre gallinelle e galli saltellanti. Una serata indimenticabile fu quella del debutto! Nella mia epoca, quella bella, mi conoscevano per quello.

Da dove arrivavi prima?

All’inizio, inizio dalla pancia della mia mamma, Madelaine, lavandaia, sposata con mio papà Dagobert, un carpentiere. È per loro che ho queste gotine a palloncino che col tempo ho gonfiato ancora di più grazie al mio appetito. Fin da subito volevo essere ballerina, come la maggior parte delle bambine di sei anni. E a sei anni sono andata per la prima volta sul palco. Sempre stata precoce! Non solo nel mondo dello spettacolo… A sedici anni finalmente mi trasferisco nella capitale. Di giorno guadagno qualche soldo un po’come bella lavanderina, un po’ nei circhi e un po’ facendomi ritrarre nuda e in posa da qualche fotografo o artista di Montmartre. La sera ballo sui tavoli di vari locali. Ho imparato così a prendermi gioco dei garzoni.

Così come?

Alzando gonne, aprendo gambe, mostrando… beh le mutandine! Con un cuoricino ricamato sopra. Gli uomini spesso impazziscono per le mie mutandine, ma non possono togliermi niente di dosso. Solo io lo faccio. Con la punta dei miei piedini carnosi mi diverto a togliergli il cappello e a fregargli da bere.

E dopo aver imparato a divertirti con i tuoi garzoni sui tavoli dove hai continuato a farlo?

Al vecchio mulino di legno Moulin de la Galette, facevano da mangiare delle gallette buonissime da inzuppare nel vino. È per quello che il mulino si chiama così! Ma è famoso, lo conoscete!

Forse. Qual è il Moulin de la Galette?

 Quello dove Renoir ritrae il ballo nel 1876!

Tu non ci sei in quel ballo…

Beh no, a dieci anni è difficile e Renoir non lo conoscevo ancora.

La fama del Moulin de la Galette viene quindi poi rimpiazzata da quella del Moulin Rouge…

Sì… quando lavoravo al de la Galette giravano voci strane sul vecchio proprietario. Pare che nel 1814 quando Parigi è stata invasa dai cosacchi il vecchio buon mugnaio Debray, cercando di difendere il suo mulino contro i cosacchi, si è beccato un sacco di sciabolate in testa. È stato smembrato in quattro pezzettini appesi alle belle ali del suo mulino… Pare! A portare avanti il tutto ci hanno pensato poi i figli. Ad ogni modo proprio alla Galette conosco il mio amato nanetto Toulouse, è lui che mi convince a spostarmi al Moulin Rouge appena aperto. Mi fido, ci vado! È qui che m’invento il can-can facendo un sacco di soldi.

Cos’è il can-can esattamente?

In realtà l’usanza nasce nelle strade di Montmartre alla domenica, quando le lavandaie come me o mia madre mostravano le mutande per le strade. Ho iniziato a mischiare quest’usanza con quella della quadriglia italiana. È così che divento ricca e famosa. Ballando, bevendo, seducendo e divertendomi.

E poi?

Poi faccio la scelta della polla. Accecata dal successo penso che i miei seguaci mi seguano ovunque. Cambio palcoscenici, lascio il Moulin Rouge, torno nel mondo circense. Seguitemi! Seguitemi! E nessuno mi segue. Terra bruciata intorno. Un tipo qualunque mi mette incinta. Simon, decido di chiamare così mio figlio.

Quindi tuo figlio non nasce dal tuo matrimonio?

 No, mio marito lo incontro poco dopo. Joseph Nicolas Droxler, un domatore di belve! Ma la guerra chiama e lui parte. La mia vita divertente non è finita nel modo più divertente. I miei amori più grandi mi hanno lasciata prima che io lasciassi loro. Bicchierino dopo l’altro sono diventata un’alcolizzata cicciona. Vivo in una roulotte al n. 59 di rue des Entrepôts. Vendo noccioline, fiammiferi e sigarette per la strada. Mi prendo cura di un sacco di gatti e di cani che trovo in giro.

E al Moulin Rouge non torni mai?

Ogni tanto sì, mi metto lì fuori a guardare e a ricordare. E nessun passante ricorda me.

Adesso c’è Mistinguett!

Mistinguett, pseudonimo di Jeanne Bourgeois

Esatto, adesso c’è Mistinguett… belle gambe vero? Grazie mille per l’intervista, ma adesso devo tornare dagli animali.