William Kentridge (Johannesburg, 1955). Sudafricano, contemporaneo, concettuale, artista, attivista, anti razzista. Disegna, riprende, allestisce e scolpisce. Fa un po’ di tutto e in questo tutto racconta.
Racconta i suoi sensi di colpa. Che spesso corrispondono all’essere bianco in una terra nera invasa da bianchi. In una terra in cui l’apartheid è sopravvissuto nei suoi primi quarant’anni di vita e la democrazia è esplosa negli ultimi venti. Racconta le contraddizioni e le ingiustizie e il suo rapporto personale con il mondo, che tanto personale non è.
“L’artista difende le incertezze e critica le certezze di tutte le forme autoritarie esistenti. Mostra come diamo senso al mondo invece che mostrare il significato del mondo, che poi un significato vero e proprio il mondo non è che lo abbia. Mostra come siamo in grado di capire un concetto, senza mostrare quello che capiamo”
Dice Kentridge, e così ci lascia liberi di capire la sua opera.
2002. Johannesburg e un’invasione delle formiche. Avviene davvero. A Johannesburg, la città d’oro, in cui l’invasione bianca a caccia di diamanti e sberluccichii ha schiacciato negli anni quello che c’era prima. Città d’oro in cui l’invasione bianca ha piantato radici, emarginato quelle vecchie, piantato leggi malsane e malaticce. La città viene invasa da formiche. Nel 2002 tantissimi piccoli pallini neri iniziano a spargersi ovunque. L’artista li guarda e li riprende. Prende dello zucchero, una caffettiera, una matita, delle forbici e del caffè, e crea Day for night: giorno per la notte, bianco e nero, chiaro e scuro, luce e ombra. Un’opera a cortometraggio su pellicola semplicissima.
Con dell’acqua e dello zucchero attira le formiche nel suo studio, traccia dei disegni astratti e figurativi sul pavimento: costellazioni, figure umane, segni zodiacali… aspetta che le formiche ripercorrano i sentieri già tracciati per poi iniziare a filmarle.
Apparecchia un tavolo. Lo apparecchia con degli oggetti che usano gli uomini quotidianamente: una caffettiera, una matita, una forbice e del caffè. Le formiche non dovrebbero gironzolare intorno a questi oggetti. Le formiche non dovrebbero salire sui tavoli e percorrere disegni tracciati.
Le formiche solitamente vengono schiacciate o ammazzate con dell’insetticida. E invece le formiche di Kentridge invadono il tavolo e tutto quello che c’è sopra. Come fossero piccoli alieni che invadono un pianeta sconosciuto, un paese già abitato. Invadono un tavolo già abitato da una caffettiera, una matita, una forbice e del caffè.
Kentridge filma l’invasione invertendo la pellicola, così quello che è nero diventa bianco e quello che è bianco diventa nero.
Il bianco del tavolo diventa il nero dell’universo, e le formiche nere diventano puntini bianchi che disegnano arabeschi e invadono gli spazi come fossero astronauti. In un pianeta diverso, dove è ammissibile occupare senza morire e dove è possibile continuare a camminare. Un tavolo nero, un mondo nero. Un’opera e un pianeta in cui è possibile essere neri e bianchi allo stesso tempo, in cui si disegnano costellazioni e forme strane e figure umane allo stesso tempo. Formiche nere, formiche bianche. Camminano, camminano e disegnano. E infine cosa disegnano? In mezzo a tutti questi scarabocchi impiastricciati nello zucchero cosa disegnano?
Disegnano un uomo vitruviano.
E perché delle formiche nere, ma mascherate di bianco, intinte nello zucchero, dovrebbero disegnare un uomo vitruviano nella testa di Kentridge?
L’uomo vitruviano è la rappresentazione per eccellenza dell’uomo perfetto. L’uomo d’eccellenza. Con proporzioni perfette. Testa, mani, braccia e gambe perfette. La perfezione divina e terrestre.
Kentridge le porta a disegnare l’uomo vitruviano. Potrebbe schiacciarle, emarginarle, ucciderle con un’insetticida per formiche. Ma non le uccide con un’insetticida per formiche. Le lascia camminare sopra l’uomo perfetto, con sfondo nero e bordi bianchi.
Rosachiara Pardini
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