Jeffrey Koons (York, 1955).
Oltre ai finti palloncini e alle foto scattate davanti ai finti palloncini ci sono altre opere, molte opere. Opere come Equilibrium e The New. Queste opere di Koons entrano negli anni ’80 nei musei d’arte contemporanea e non li lasciano più. Lo spettatore entra, le guarda e l’occhio fatica ancora un po’. Le scruta e le riguarda e ‘questa cosa qui? Potrei farla anch’io’ dice usando un condizionale contestabile. Ma Jeffrey Koons della Pennsylvania con queste cose qui che potrebbero pensare o fare in molti, diventa uno degli artisti più acclamati e più comprati al mondo.
The New (1981)
È una banalissima aspirapolvere. Una non banalissima installazione di aspirapolveri messe insieme. Ma l’artista vede altro oltre al cattura polvere. Le mette tutte in piedi come fossero uomini. A gruppetti come fossero tipologie antropologiche differenti: il trio familiare con mamma aspirapolvere, papà aspirapolvere e figlio aspirapolvere. Le aspirapolveri gemelle, le aspirapolveri fidanzate.
Tutte nuovissime. Nuovissime sempre e per sempre. Mai utilizzate e mai lo saranno. Inventate e create nel regno americano dei supermercati e del consumo, dove gli oggetti vengono creati per essere comprati e utilizzati, ma dove non verranno né comprati né utilizzati. Bensì contemplati. Dal supermercato al museo. Un salto di società importante per un’aspirapolvere. L’artista le toglie dai loro habitat naturali e li ficca dentro a musei per essere contemplati da milioni di persone che pagano il biglietto per contemplarli. Le mette lì in piedi o distese, come fossero macchine viventi, macchine respiranti e aspiranti. Come fossero macchine umane che aspirano tutto quello che c’è in giro, polvere e non polvere. Aspirano, aspirano fino all’ultimo respiro.
Equilibrium (1985)
Tre palle da basket. 1, 2, 3. Il processo per farle stare eternamente allineate e sospese nell’acqua dentro a una teca è stato attentamente studiato e ben riuscito. Le palle non cascano mai, non galleggiano mai, non affondano mai. Restano perfettamente sospese in una soluzione di acqua distillata e cloruro di sodio. Perfettamente al centro. L’equilibrio perfetto. L’equilibrio che dovrebbe essere nostro. L’equilibrio che Koons vorrebbe fosse nostro. Dell’essere umano. Centrato e sospeso. Koons sceglie tre palle da basket per rappresentare l’equilibrio eternamente perfetto, eternamente e perfettamente umano. Sceglie il basket perché quale sport meglio di questo rappresenta l’america. E perché quale nazione meglio di questa rappresenta l’ottimismo. E l’ameicanismo e l’ottimismo americano nelle opere di Koons si presenta spesso. Quello dove tutto è possibile. Dove tre palle da basket possono essere qualcosa in più. Dove chi centra spesso un canestro con quelle palle da basket può diventare qualcosa in più.
Inflatables (anni a seguire)
Palloncini di plastica e finta plastica. Palloncini colorati e gonfiati in tutte le forme. Conigli, cani, fiori, e ballerine. Addirittura aragoste e delfini. Plastica o metallo riflesso dove la gente può specchiarcisi dentro e farsi due foto. Perché le opere di Koons non potevano che non diventare lo scenario perfetto del consumismo fotografico. Fatte con il materiale di consumo per eccellenza. Plastica, metallo e colori ovunque. Oggetti belli gonfi e belli in vista. “Perché l’importante” dice Koons “è il gonfiore”. Gonfiarsi, ispirare, riempirsi d’aria. Pieni di aria e pieni di vita. L’importante è essere come dei palloncini. Colorati e splendenti. Inalare, assorbire, fare un bel respiro, trattenere forte e svolazzare. Stando attenti a non scoppiare.
Rosachiara Pardini