Elizabeth Eleonor Siddal.
Preferisco Lizzie.
Lizzie. È questo il nome del volto preraffaellita: Lizzie, Lizzie Siddal.
Sì. Non ero solo un volto. Ero una poetessa e pittrice, scrittrice, amavo scrivere e poi sì, ero anche modella, amavo posare. Potevo stare ore a scrivere e ore a posare.
Quanti anni avevi?
Vent’anni. Era il 1848. La regina Vittoria era salita sul trono già da una decina di anni e le cose stavano cambiando anche culturalmente. Si era appena formata una confraternita, una congregazione di pittori alla ricerca di un’arte nuova e simbolista e molto purista. Si facevano chiamare i Prerafaelliti. Volvano andare indietro, tornare indietro, prima di Raffaello, prima della natura perfetta, prima del naturalismo e ancor prima. Volevano tornare alla purezza e alla fede e a queste cose qui insomma. Con donne beate e angeliche e un po’ fragili… Buffo.
Buffo? Cosa è buffo?
È buffo il fatto che in un’età come quella, quella in cui è iniziato la prima emancipazione femminile, loro avessero nostalgia della nostra fragilità.
E tu per loro la rappresentavi molto bene questa fragilità, giusto?
È un’offesa?
No, lo è?
Probabilmente lo è. Il mio carattere non era fragile, sai? La mia salute un po’ di più e il mio aspetto anche, ma il mio carattere no. Il mio aspetto si prestava perfettamente a quello che cercavano. Ero magrolina e leggiadra, con la pelle chiara chiara e i capelli rossi e gli occhi blu. Ma dentro no… dentro mi agitavo anch’io e scrivevo e dipingevo anch’io quando ero agitata, esattamente come loro. Dante lo sapeva.
Dante?
Il gruppo era composto da John Everett Millais, William Hunt, Ford Madox Brown, William Trost Richards, William Morris, Edward Burne – Jones, John William Waterhouse e c’era anche Dante, mio marito. Dante Gabriel Rossetti. L’uomo della mia vita. Ho scritto tantissimo per lui e lui per me. Ho una pila di lettere e poesie e biglietti che ci siamo scritti durante gli anni e quando sono morta mi ci ha seppellito insieme.
Ti ha seppellito insieme alle lettere?
Sì, come gesto d’amore. Me le ha messe sparse tra i capelli. Amava i miei capelli, li ritraeva sempre e me li accarezzava sempre. E io scrivevo. Amava quello che scrivevo per lui. Così mi ha seppellito insieme a loro. Mi dipingeva tantissimo mentre scrivevo.
Questo disegno è il tuo preferito?
Di me? Non lo so. Uno dei tanti, insieme a Ofelia.
Ofelia non lo ha dipinto lui, eppure è stato il tuo ruolo più importante, o almeno quello più conosciuto.
Sì. Ofelia, è stato Ofelia di Millais. Colui che mi ha fatto morire.
Quindi è vero?
È vero cosa? Che è stato lui a farmi morire? Ho già detto che la mia salute non è mai stata possente, ma posare per il ruolo di Ofelia non l’ha aiutata a migliorare. Era il 1852. Avevo ventitré anni. Millais decise di dipingere Ofelia di Amleto: personaggio inglese e puro e perfetto per il preraffallismo. Dipinse il paesaggio en plein air senza mai fermarsi. Lo dipinse tutto in un giorno. Così fece anche con me. Ci dipinse tutto d’un fiato, ma separatamente: prima il paesaggio e poi me. M’infilò in una vasca da bagno del suo appartamento con delle candele accese tutt’intorno e l’acqua riscaldata. io restai lì tutto il tempo. Non ero comoda e non era facile. Ma restai lì tutto il tempo. ferma e immobile a farmi ritrarre pensando al momento in cui avrei visto il mio ritratto. Sono stata ore e ore in quella vasca e ore e ore a congelare. Non per amore di Millais. Per amore di quello che stava creando e per amore di quello che è possibile creare. La sua dedizione mi ha fatto restare. È stata la sua dedizione per l’arte a farmi restare. Il mio amore per l’arte a farmi restare. Il problema è che l’acqua riscaldata dopo un po’ smette di essere calda e così congelai. Quando si ama qualcosa si fanno cose strane.
E lui continuò?
E lui continuò. Io non dissi niente e restai lì a congelare. Sapevo che non mi avrebbe fatto bene, ma la curiosità di vedere il mio ritratto e la sua concentrazione nel farlo e la mia dedizione a posare per lui mi hanno fatto continuare. Sarei potuta andarmene, uscire dalla vasca e asciugarmi come farebbero tutti. Magari sarei stata meglio e avrei vissuto più a lungo, ma restai e vidi il mio ritratto. Poco dopo mi ammalai. La passione ti spinge a fare cose strane… Mi ammalai di una malattia dalla quale non guarii mai. Ma il ritratto è davvero bellissimo, non lo trovi bellissimo?
Sì, lo trovo bellissimo.
Se non fossi rimasta, non sarebbe mai esistito. Non pensi sarebbe stato un peccato? Otto anni dopo quel ritratto, mi sposai con Dante. Me lo ha fatto faticare quel matrimonio. Rimandava sempre e io lo aspettavo e lui rimandava. Abbiamo avuto un sacco di problemi. E a causa loro sono diventata depressa. O viceversa. Abbiamo avuto un sacco di problemi perché tendevo alla depressione. Alla fine morii. Dicono che lui abbia sofferto molto, sai?
È così che dovrebbe essere.
Sì, quando ci si ama molto è così che dovrebbe essere. Ma quando ci si ama molto si fanno cose strane. E quando si soffre molto si fanno cose forse ancora più strane. Qualche anno dopo, una notte, Dante è voluto venire a trovarmi riaprendo la mia tomba. Perché? Mi sono chiesta tante volte perché avesse fatto una cosa così macabra? Ho pensato fosse impazzito o che gli mancasse semplicemente il mio viso. Ha detto a tutti che il mio viso era ancora bello e intatto dopo avermi visto, non so se gli hanno creduto. Però non mi ha solo guardata, ha preso anche le nostre poesie. Tutte le nostre lettere e le nostre poesie. Dovevano rimanere con me per sempre, tra me e lui per sempre, e lui le ha pubblicate. Le ha prese per renderle pubbliche al mondo intero. Mi sono sempre chiesta perché lo avesse fatto. Se per disperazione o per altro. Se per amore o per altro. Se per amore per me, per amore per l’arte o per amore di quello che la fama e il denaro ti portano. Ma non voglio pensarci. Quando si ama qualcosa si fanno cose strane e si pensano cose strane.
Rosachiara Pardini
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