Ce n’est pas du porno. L’origine del mondo di Gustave Courbet.

Non è pornografia questa cosa qui. Sembra più anatomia. Arte anatomica. Perché Courbet più che trovare allusioni dipingendo, descrive semplicemente le cose così come sono, così come si vedono, senza peli, o più che altro senza veli.

L’origine del mondo, 1866, Gustave Courbet, Museo d’Orsay, Parigi

Anche oggi appena si guarda L’origine del mondo si tira un attimo la testa un po’ più indietro con gli occhi un po’ più aperti. Perché non si vede in tutti i quadri una vagina così grande, esistente, consistente, concreta, come se la proprietaria stesse spiattellando in faccia al pubblico il suo fiore in boccio. Fa sempre un po’ effetto la schiettezza e la grandezza di un primo piano dedicato all’anatomia della vulva. Ma perché? Forse perché è inaspettatamente schietto e sincero. Perché Courbet quando dipinge è schietto e sincero. Non allude e non nasconde, non vela e non rivela. Rappresenta solo ciò che ha davanti. Così com’è. Il realismo puro e incorrotto.

Guarda, osserva, studia e riproduce. Ed eccola qui, una vagina gigante con le grandi labbra, il clitoride che spunta, i peli ricci e neri, la riga in mezzo del davanti e del di dietro, un po’ di cosce, una pancia con l’ombelico al centro e una mezza tetta. Il lenzuolo se c’è o non c’è fa niente. Ecco fatto. La vagina gigante. L’origine di tutto. Forse di tutto tutto no, ma dell’uomo sì.

La data di creazione è il 1866. Non è la prima volta che Courbet ritrae una patata nuda, né la prima volta che il committente, il diplomatico turco-egiziano Khalil Bey, ne richiede una. Pare che l’ottomano fosse molto affezionato al corpo femminile, così tanto da avere una collezione intera di dipinti erotici e nudi e anatomici. Una collezione erotica, pornografica, porno d’élite, anatomia artistica. Quello che è insomma. Aggiunge il quadro di Courbet alla sua collezione una volta pronto e partorito. Lo tiene con sé, ma non per molto, fino a che non perde tutti i suoi averi per l’ossessione del gioco d’azzardo. A quel punto la vagina gigante viaggia e gira nelle mani di molti fino al 1995. Nel 1995 entra nel Museo d’Orsay di Parigi da dove non è ancora uscita.

Una tela non poi così grande. 46×55 cm. Eppure quello che c’è dentro sembra abnorme. Perché c’è solo lei. Solo lei, senza un volto. Senza un volto a cui associarla. O almeno non c’era. Recentemente si è scoperto che forse, la patata gigante di tutte non è. Ha una proprietaria. Sembra appartenere a una ballerina, Constance Quéniaux, diventata amante del committente egiziano.

Constance Quéniaux, Saint-Quentin, 1832 – Parigi, 1908

Il ricercatore francese Claude Schopp, durante lo studio di uno scambio epistolare tra Alexander Dumas figlio e la scrittrice George Sand, legge una frase. Una frase in una lettera che Dumas scrive e spedisce alla scrittrice nel 1871, parlando di Courbet:

“on ne peint pas de son pinceau le plus délicat et le plus sonore l’intérieur de Mlle Quéniaux [sic] de l’Opéra”

(“uno non dipinge col suo pennello la più delicata e sonora intimità della signorina Quéniaux dell’Opéra”)

Quéniaux. Intimità. Pennello. Schopp associa queste tre parole al fatto che la ballerina Quéniaux fosse l’amante del committente proprio nel periodo in cui Courbet dipingeva L’origine del mondo. E allora forse l’intimo, l’interno delicato e sonoro è proprio suo. Dell’allora trentaquattrenne ballerina francese.

E se l’ipotesi fosse vera per davvero, perché sul cavalletto Courbet non ha dipinto la faccia della ballerina? Bella era bella. Magari l’ha dipinta e poi ha tagliato il quadro in due. O magari non ha tagliato niente. È sempre stato così com’è.

Le ipotesi sono tantissime, ma alla fine non avere un volto è stata forse la sua fortuna. Perché se ci fosse stato, il quadro probabilmente avrebbe creato molto più scandalo in un museo negli anni in cui è stato esposto. Forse è proprio l’anonimato che lo ha salvato. In modo che questa vulva potesse essere libera, essere un po’ di tutte, potesse essere davvero l’origine del mondo e non fraintesa come un nudo qualunque.

E forse non è stato solo l’anonimato a salvarla. Se si fosse intitolato Vagina gigante o Facciamo l’amore o Patata all’aria o Masturbazione, forse non sarebbe stata la stessa cosa. Non sarebbe stata esposta e vista come quello che poi alla fine sempre sarà. L’origine dell’essere umano e tutto ciò che l’essere umano comporta e porta nel mondo. L’origine del mondo.

 

 

 

 

 

 

 

https://www.tgcom24.mediaset.it/speciale-vernice-week/

Intervista immaginaria: La Noix de Coco (Jeanne Hébuterne) di Modigliani.

 

Jeanne Hébuterne, Noix de Coco (Meaux, 1898 – Parigi, 1920)

Sei conosciuta grazie a una storia d’amore.

Sì, grazie a una storia d’amore.

Lo chiami Modì, Dedo, Amedeo?

Lo chiamo in tutti i modi. Il mio Modì. Il mio Dedo. Il mio Amedeo.

Amedeo Clemente Modigliani, Modì, Dedo (Livorno, 1884 – Parigi, 1920)

Il tuo Modì. Da dove vuoi partire?

Dall’inizio inizio della storia. Perché all’inizio non volevo essere conosciuta per amore, volevo essere pittrice. La più bella pittrice di Parigi. Volevo dipingere tantissimo, tutto il giorno e che le mie tele fossero sparse ovunque e che fossi conosciuta ovunque. Mio fratello diceva che ero brava! Mi ero trasferita e iscritta a Parigi all’Académie Colarossi. La mia famiglia mi ha pagato gli studi perché non sapeva quello che li aspettava. La mia famiglia è bigotta. Benestante e bigotta. Era d’accordo sull’accademia, ma non su quello che ci ho trovato dentro. Modì. L’accademia mi ha portato da lui. Nel 1917. Lui aveva trentadue anni e io diciannove. Lui italiano, io francese. Lui alto alto moro e sicuro. Difficile. Senza soldi. Era bravo, molto più bravo di me. Era agitato, aveva mille rovelli per la testa, mentre il mio unico rovello è diventato lui. Stare dove stava lui.

E così è stato?

Così è stato. A modo nostro.

A modo vostro?

Appiccicati. Eravamo sempre appiccicati. Lui si spostava e io mi spostavo. La mia famiglia lo odiava e io odiavo la mia famiglia. Li ho mollati e sono andata con lui a vivere a Nizza un anno dopo ed è lì che ha iniziato a dipingere tantissimo, come non aveva mai fatto prima. Perché ormai c’ero io, la cosa che preferiva dipingere più al mondo, la cosa che preferiva più al mondo. Mi ritraeva in tutti i modi e io ritraevo lui. Stavamo appiccicati sempre. A volte non parlavamo neanche. La gente ci guardava seduti ai tavoli dei bar appiccicati e ammutoliti. Dicevano che ero scialba perché non parlavo. Ma le parole non serve dirle sempre.

Ritratto di Jeanne Hébuterne, 1919, Amedeo Modigliani, collezione privata

Una storia rosa e fiori insomma…

Con tante spine. C’erano momenti in cui mi mollava per andare a bere da altre parti e quei momenti erano tantissimi. Beveva molto. Moltissimo. Io andavo a casa e lui andava a bere. Lo faceva come mezzo, non come fine. Lo faceva per stimolarsi, sentire di più e di più, produrre di più, vedere di più. Non era un ubriacone, era alcolizzato sì, ma non puzzava mai di vino, non era un ubriacone. Lo criticavano ed etichettavano. Mormoravano, cinguettavano… quelle civette! Quelle carogne beote. Senza sapere cosa dicevano. Beveva e dipingeva e poi sì, guardava le altre donne per dipingere anche loro.

Nu couché, 1917, Modigliani, collezione privata

La Belle Romaine, 1917, Modigliani, collezione privata

Parlami di loro.

Loro. Amedeo le ritraeva nude anche dopo aver incontrato me. C’era Margherita, c’era Thora, c’era Elvira, c’era Lucienne, Gaby. Alcune le preferiva rispetto ad altre, alcune si vedono di più rispetto ad altre, e io molto più delle altre mi sono sempre chiesta il perché. Alcune di loro avevano seni grandissimi e occhi neri nerissimi. È dopo aver visto quegli occhi nei quadri che ho iniziato a chiedermi come sarei stata se avessi avuto gli occhi neri come loro. A volte erano scure, oscure, con mille paturnie e fardelli. Altre volte più pallide e sgonfie, precise. Amedeo le ritraeva spesso nude. Erano belle nude, erano belli quei nudi e mentirei se dicessi il contrario. Ma di quello che sentivo io mentre li faceva non ho voglia di parlare. Era difficile stargli dietro, accanto, ma sono riuscita sempre a farlo e lui è riuscito sempre a tornare da me.

Nudo in piedi, 1918, Modigliani, collezione Walter Hadorn a Berna

Da te. La sua noix de coco.

Sì, così mi chiamava. Noix de coco. Perché come la polpa del cocco la mia pelle era bianca bianca e i miei capelli scuri scuri come l’esterno della noce.

Come era farsi dipingere da lui?

Molti dicevano “era come farsi spogliare l’anima”. Per me era ancora più di questo. A volte era tanto di più che ero contenta non ci mettesse molto a ritrarmi. Solitamente in una o due sedute aveva fatto. Ma poi c’erano altre volte, quelle volte in cui speravo non finisse mai. Modì diceva “non dipingerò nei miei quadri gli occhi fino a quando non conoscerò l’anima delle persone”. Occhi azzurri è uno dei primi ritratti che mi ha fatto. Occhi azzurri, così lo ha intitolato. L’anno in cui ci siamo incontrati.

Occhi azzurri, 1917, Amedeo Modigliani, Philadelphia Museum of Art

Primo ritratto di Noix de Coco, 1917, Modigliani

Nessun rimpianto?

Nessun rimpianto. Quando lui si è ammalato e mi ha lasciato era il 24 gennaio del 1920. Avevamo una bambina. L’abbiamo chiamata Jeanne, come me. Le due cose che amava di più. Due giorni dopo la sua morte non ce l’ho fatta. Sono salita al quinto piano del palazzo e ho guardato giù. Il pancione con il secondo figlio non riusciva a farmi vedere bene, ma mi sono sporta un po’ di più e basta. Ho dedicato tutto a lui, la mia vita e la mia morte e la vita degli altri, ma questa è un’altra storia.

 

 

 

 

https://www.tgcom24.mediaset.it/speciale-vernice-week/