La Venere di Savignano. Tra i più importanti ritrovamenti dell’arte preistorica.

Cos’è quest’oggetto appuntito? È uno schiaccianoci? No. Ma c’è chi per un po’ di tempo lo ha visto così.

Venere di Savignano, Reale Museo Nazionale Preistorico Etnografico, Roma

In realtà è una statuetta che rappresenta una Venere. La Venere oggi chiamata di Savignano perché rinvenuta proprio nei pressi di questa località vicino Modena nel 1925. Ha origini antichissime. Neolitiche o addirittura Paleolitiche.

La sua forma ha un sedere sporgente, una pancia sporgente e un seno sporgente. Piedi e testa a punta come fossero due coni alle sommità del corpo. Il viso non inciso, le braccia son leggermente accennate, le curve invece ci sono, prorompenti in 22 centimetri di materiale che la compongono.

Eppure c’è chi non vede.

Olindo Zambelli era un operaio che negli anni ‘20 del Novecento stava scavando le fondamenta di un edificio nei pressi di Savignano, la proprietà del “Signor Rossi Vincenzo detto Bandiera”. Un giorno durante i lavori trova un ammasso di pietra simile a un sasso e se lo porta a casa. Di sassi durante gli scavi ce ne sono molti eppure lui decide di portarsi a casa proprio quello o forse anche altri, ma non è dato sapere. Guardando per bene la forma non nota nessuna linea, nessuna incisione, solo un ammasso di pietra a punta. Così lo porta con sé, lo mette sopra al camino di casa e mentre mangia qualche noce lo utilizza per schiacciarne il guscio. Il suo schiaccianoci personale. Ogni giorno utilizza un oggetto dal valore oggi inestimabile per schiacciare le sue noci. La leggenda dice che lo mostra prima a qualcuno: a sua moglie, al segretario comunale e a persone di fiducia… ma nessuno vede niente.

E allora chi è che salva la bella statuina? Si chiama Giuseppe Graziosi, scultore abbastanza noto all’epoca che viene a sapere del ritrovamento e decide di comprarlo intuendone il valore. Parla con l’operaio e lo convince ad avere la Venere in cambio di due quintali d’uva. Olindo Zambelli prende l’uva e la consegna senza problemi.

La statuina viene così ceduta a Ugo Antonielli, direttore del Reale Museo Preistorico Pigorini a Roma, il quale analizza l’oggetto e lo espone come “la più bella per esecuzione e la più grande fra quante del genere erano state finora ritrovate.”

Oggi la Venere schiaccianoci è visibile a tutti. A chi ha gli occhi per vedere qualcosa a prescindere dal contesto in cui si trova. E viene riconosciuta come uno dei più importanti ritrovamenti italiani di arte preistorica.

 

 

 

 

Rosachiara Pardini

 

 

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